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FINE DI UNA CAMPAGNA
(END OF A CAMPAIGN)
Vi sono molti morti nel selvaggio deserto,
che giacciono irrequieti
tra cespugli striminziti in un paesaggio di
stentata
cattiva volontà. Perché questa terra morta è insaziabile
e necrofila. La sabbia continua ad
accecarli.
Molti che per varie ragioni, o solo
per costrizione inappellabile, vennero qui
a combattere tra quelle prensili pietre tombali,
rabbrividirono e sudarono,
urlarono, patirono la sete,
furono
stoicamente muti,
maledirono le sputacchianti mitraglie,
rimpiansero l’Europa
e presto risucchiati nelle sabbie mobili d’Africa
agonizzarono e morirono.
E ora dormono. Qui dormono il sonno della polvere.
C’erano i nostri, c’erano gli altri.
Le loro morti come le loro vite, umane ed animali.
Non c’erano dèi né pochi eroi perfetti.
Ciò che rimpiansero morendo non aveva nulla a che fare
con razza leader regno indivisibile
O elaborate orazioni su remoti retaggi imperiali.
(Avevano visto il ridicolo prima che la scure cadesse).
Ciò che agognavano
era un mondo perduto, a tratti ricordato nelle lettere:
una sera al cinema dove, nel complice buio,
due cospiratori si sorridono sussurrando segreti;
o anche
una famiglia che si riunisce in cucina
con la mamma così fiera dei suoi ragazzi in divisa:
i loro pensieri tremarono
tra momenti d’estraniazione e momenti estatici
di riconciliazione: e il loro anelito
si crocifisse contro l’indicibile ombra di qualcuno
la cui foto era nelle loro bisacce.
Quindi la morte compì la sua incisione.
C’erano i nostri, c’erano gli altri.
Perciò, seguendo la grande massima del figlio
di Glencoe, secondo cui non dobbiamo sfigurare noi stessi
con l’infamia dell’odio; e vedendo che tutti
come bastardi son caduti in un anonimo silenzio,
io darò testimonianza, perché io conobbi gli altri.
Vedendo che litorale e interno sono entrambi indifferenti
e che gli uccelli volano di nuovo verso il nostro accogliente settentrione,
Perché io non dovrei cantarli, loro, i morti, gli innocenti?
Hamish Henderson
Traduzione di Amleto Micozzi
© Ogni diritto riservato
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